
BIOTOMICA
Roberto Giacomucci
“La mostra Biotomica esplora la resilienza della natura, la sua capacità di resistere, adattarsi e rigenerarsi, interpretandola non solo come fenomeno biologico ma anche come un principio ontologico. Giacomucci sceglie una serie di storie proveniente dal mondo della natura, non solo per il loro valore simbolico, ma perché sono testimonianze di una lotta invisibile, spesso ignorata dall’uomo. L’artista si confronta con la memoria vegetale come se fosse la propria, cercando nella materia pittorica un modo per dare voce a storie che parlano di resistenza, perdita e rinascita. Il titolo della mostra Biotomica, racchiude questa tensione tra distruzione e rigenerazione, tra la violenza improvvisa e la lenta ricostruzione. Unisce il concetto di bios, la vita, con quello dell’atomo, un’energia che può essere trasformativa ma anche devastante. È un termine che contiene in sé un paradosso: l’idea di una natura esplosa, frammentata, ma al tempo stesso in grado di ricomporsi, di riemergere con nuova forza.
Questo progetto espositivo nasce dalla profonda sensibilità per i temi ambientali dell’artista. Quello sviluppato da Giacomucci si potrebbe definire come un rapporto osmotico con la natura, di totale immersione e finanche immedesimazione. Le opere che danno vita a questa mostra denotano, a mio avviso, il tentativo (riuscito) di ricreare gli aspetti germinativi della natura fino ad arrivare alla fusione con essa. La stessa tavolozza adottata dall’artista insiste maggiormente sui colori terragni (verdi, marroni, gialli) tipici del mondo naturale. I colori non sono usati per definire, ma per evocare: evocano la polvere degli alberi bruciati, la terra umida che custodisce i semi millenari, la roccia lavica su cui nascono le prime piante. Il nero dominante non è un’assenza, ma una profondità, una dimensione sotterranea in cui tutto è potenzialmente in attesa di riemergere.
Dal punto di vista formale questi dipinti hanno la caratteristica di stagliarsi dal fondo in modo netto quasi fossero delle incisioni. Questa impressione è dovuta alla particolare tecnica pittorica utilizzata da Giacomucci, il quale dipinge in levare, o in “tollera” (togliere) come si definiva un tempo la pratica scultorea. Ne consegue che queste opere assumano un aspetto minimale, essenziale. L’uso della pittura “in levare” inoltre non deve essere inteso solo come una scelta stilistica, bensì come un atto di scavo, una ricerca dentro la materia per portare alla luce ciò che è già lì, nascosto. Giacomucci non costruisce immagini, le libera, le fa emergere dal nero denso dei suoi fondi, come se stesse riportando alla superficie una memoria sepolta. Questo processo si collega direttamente al senso delle sue opere: non si tratta di rappresentare la natura, ma di rivelarla nella sua essenza più profonda, come un organismo che lotta per farsi spazio nel mondo. Allo stesso tempo queste opere frutto di moltissime sperimentazioni di materiali, supporti, colori, evidenziano il modus operandi di un artista di ricerca, sempre attento al materiale più adatto per esprimere la sua visione, il suo pensiero.
Questa mostra appare oggi di grande attualità, in un’epoca in cui il tempo dell’uomo e il tempo della natura sembrano entrati in collisione. L’uomo distrugge con violenza e rapidità, mentre la natura si rigenera con lentezza, seguendo ritmi che spesso sfuggono alla percezione umana. Biotomica è un monito, un’esplosione di verde che riaffiora là dove il suolo è stato ferito. L’effetto sullo spettatore è quello di un’immersione in un paesaggio altro, dove il confine tra materia e tempo si fa labile. Le superfici incise delle tele evocano la corteccia degli alberi, la pelle della terra, le tracce che lasciano gli elementi sulle rocce. Il nero profondo diventa spazio di possibilità, mentre la luce che affiora si fa testimone di una resistenza silenziosa. Ogni opera invita a fermarsi, a osservare, a cogliere la tensione tra permanenza e scomparsa, tra cicatrici e rinascita.”
Alberto Dambruoso
IL GUARDIANO DEL DESERTO
L’ Acacia del Ténéré (Acacia tortilis subsp. raddiana) era un albero straordinario situato nel cuore del deserto del Ténéré, in Niger. Considerato per lungo tempo l’albero più isolato del mondo, era l’ultimo superstite di un antico gruppo di piante che cresceva in un’epoca in cui la regione era meno arida. Nonostante le condizioni estreme del Sahara, l’acacia riusciva a sopravvivere grazie alle sue radici profonde, che raggiungevano una falda acquifera situata tra i 33 e i 36 metri sotto terra.
Questo albero aveva circa 300 anni al momento della sua scomparsa nel 1973. La sua solitaria presenza nel nulla lo aveva reso un simbolo di resilienza e adattamento della natura.
L’Acacia del Ténéré fu abbattuta accidentalmente da un camionista libico nel 1973, ponendo fine alla sua esistenza secolare.

BAMBÙ 45
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il Giappone affrontò intensi bombardamenti aerei da parte delle forze alleate, che causarono devastazioni nelle principali città.
Per proteggere la popolazione civile furono costruiti numerosi rifugi antiaerei di vario tipo. In particolare, nelle aree rurali e periferiche, dove le risorse erano limitate, si ricorre all’uso del bambù per la realizzazione di strutture protettive. Le canne di bambù, disposte in modo intrecciato, formavano una sorta di intelaiatura che conferisce stabilità alla struttura. Oltre ai rifugi, il bambù trova impiego nella costruzione di barriere protettive attorno alle abitazioni e agli edifici pubblici. Queste barriere erano progettate per attutire l’impatto delle esplosioni e dei detriti causati dai bombardamenti. Inoltre, il bambù veniva utilizzato per realizzare coperture mimetiche, creando strutture che imitavano la vegetazione naturale per confondere i ricognitori aerei nemici.

IL PRIMO GIARDINO SULLA LUNA
Nel gennaio 2019, la sonda cinese Chang’e-4 è stata la prima missione a far germogliare una pianta sulla Luna. All’interno di una mini-biosfera sigillata a bordo del lander, semi di cotone (Gossypium) hanno iniziato a germogliare dopo l’allunaggio sul lato nascosto del nostro satellite. Questa mini-biosfera, alta 18 cm e pesante 3 kg, contenuta, oltre ai semi di cotone, anche semi di patata, colza e arabetta comune (Arabidopsis thaliana), oltre a lieviti e uova di moscerini della frutta.
L’obiettivo dell’esperimento era testare la possibilità di coltivare piante in un ambiente lunare, caratterizzato da bassa gravità, elevate radiazioni e forti escursioni termiche. La scatola che conteneva i semi non era riscaldata, e durante la notte lunare le temperature possono scendere fino a -173 °C. Di conseguenza, il germoglio è morto poco dopo la germinazione.. Nonostante la breve durata, questo esperimento rappresenta un passo significativo verso la possibilità di coltivare piante in ambienti extraterrestri, una componente essenziale per future missioni spaziali a lungo termine e per l’eventuale colonizzazione di altri corpi celesti.

UNICO RESPIRO
Pando, un organismo vegetale straordinario situato nello Utah, USA. Pando è una colonia clonale di Populus tremuloides, comunemente noti come pioppi tremuli, che condividono un unico vasto sistema radicale. Questo organismo copre un’area di circa 43 ettari e si stima abbia un peso complessivo di circa 6.000 tonnellate, rendendolo uno degli esseri viventi più massicci sulla Terra.
L’esempio di Pando serve per illustrare la straordinaria capacità delle piante di formare organismi complessi e resilienti attraverso strategie cooperative. Nonostante l’apparente individualità dei singoli alberi, essi sono interconnessi a livello radicale, funzionando come un unico superorganismo. Questa struttura clonale consente a Pando di sopravvivere per migliaia di anni, con un’età stimata tra 80.000 e un milione di anni, dimostrando una longevità senza pari nel regno vegetale.

NATA DAL FUOCO
L’isola di Surtsey è emersa nel 1963 a seguito di un’eruzione vulcanica al largo delle coste islandesi. Fin dai primi anni, gli scienziati hanno osservato come le piante abbiano iniziato a colonizzare questo nuovo territorio. Al termine dell’eruzione, l’isola raggiunse una superficie massima di 2,7 km².
Da allora, l’erosione causata dal vento e onde ha ridotto progressivamente le sue dimensioni. Nel 2012, l’isola misurava 1,3 km², con un’elevazione massima di 155 metri sul livello del mare. Le prime specie vegetali sono arrivate attraverso vari mezzi: il vento ha trasportato semi leggeri; le correnti marine hanno portato semi galleggianti; e gli uccelli migratori hanno introdotto semi attraverso le loro deiezioni o trasportandoli sul piumaggio. Entro il 2008, a 45 anni dalla formazione dell’isola, erano presenti 69 specie vegetali, di cui 30 stabilmente insediate. Questo processo di colonizzazione offre preziose informazioni su come le piante riescano a diffondersi e adattarsi a nuovi ambienti, anche in condizioni inizialmente avverse.

I CUSTODI DELLA MEMORIA
Hibakujumoku è il termine giapponese che indica gli alberi sopravvissuti ai bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki nel 1945. Questi alberi, nonostante l’esposizione a temperature superiori a 6.000 gradi Celsius e radiazioni intense, sono riusciti a rigenerarsi e continuano a vivere tutt’oggi, rappresentando un simbolo di resilienza e speranza per il popolo giapponese. Questi alberi sono diventati oggetto di rispetto e venerazione da parte dei residenti locali, che spesso si fermano per rendere omaggio o interagire con essi. Ogni albero è contrassegnato da un cartello giallo che indica la specie e la distanza dal punto dell’esplosione atomica. Uno degli esempi più significativi è un salice piangente (Salix babylonica) situato a circa 370 metri dal luogo dell’esplosione. Nonostante la devastazione totale dell’area circostante, questo albero è riuscito a rigenerarsi dalle radici e continua a crescere rigoglioso. Questa capacità di resilienza degli Hibakujumoku dimostra come la vita vegetale possa sopravvivere e prosperare anche in condizioni estremamente avverse.

LE RADICI ADDORMENTATE
Il 30 giugno 1908, una colossale esplosione squarciò il cielo sopra la Siberia, nella remota regione di Tunguska. Un’onda d’urto spazzò via oltre 80 milioni di alberi in un’area di più di 2.000 km². Gli scienziati credevano che fosse l’effetto di un meteorite o di un asteroide esploso nell’aria, ma il mistero rimane.
Dopo il disastro, la foresta di Tunguska sembrava morta, ridotta a un paesaggio bruciato di tronchi abbattuti e cenere. Nessun segno di vita. Nessuna speranza di ripresa. Eppure, sotto terra, le radici non si erano arrese. Per decenni, senza che nessuno se ne accorgesse, le radici rimaste dormienti iniziarono a spingere nuovi germogli. Lentamente, la foresta riprese a crescere.
Oggi, l’area colpita è di nuovo verde, con alberi che hanno ricominciato a colonizzare il suolo devastato. Le radici di Tunguska si erano solo messe in attesa, per poi risvegliarsi quando il mondo era pronto.

I VIAGGIATORI NEL TEMPO
I semi di Masada e Qumran sono esempi per la loro straordinaria longevità e la capacità di germinazione dopo millenni. Nel 1963, durante gli scavi archeologici a Masada, in Israele, furono ritrovati semi di palma da dattero (Phoenix dactylifera) risalenti a circa 2.000 anni fa. Conservati per decenni, nel 2005 alcuni di questi semi furono piantati con successo, portando alla nascita di una pianta soprannominata “Matusalemme”. Allo stesso modo, nei pressi di Qumran, luogo celebre per il ritrovamento dei manoscritti del Mar Morto, sono stati scoperti semi antichi che hanno dimostrato una vitalità sorprendente.
Le palme da dattero sono piante dioiche, il che significa che esistono esemplari maschili e femminili separati. Uno degli esemplari di Masada, chiamato “Matusalemme”, è cresciuto fino a diventare una palma maschile. Successivamente, ulteriori semi di Qumran sono stati germinati, portando alla nascita di una palma femminile, ”Hannah”. Questo ha permesso di effettuare impollinazioni controllate tra gli esemplari maschili e femminili, contribuendo alla reintroduzione di questa antica varietà di palma da dattero.

OSSA RADICATE
A Napoli, nascosto tra le viscere della città, esiste un luogo dove le radici della terra e le ossa dei morti si intrecciano fino a diventare una cosa sola.
È il Cimitero delle Fontanelle, un ossario unico al mondo, dove la natura e la morte hanno stretto un patto silenzioso.
Nel cuore di una cava scavata nel tufo, si trovano migliaia di teschi e ossa umane, accatastate in file ordinate o sparse nel suolo umido. Qui, nel silenzio delle profondità, le radici degli alberi sovrastanti sono scese giù, insinuandosi tra le ossa, avvolgendole come vene pietrificate.
Si racconta che, col passare dei secoli, le radici hanno assorbito il calcare delle ossa, trasformandosi in un groviglio biancastro, simile a scheletri vegetali. Alcune sembrano costole intrecciate al suolo, altre somigliano a lunghe dita scheletriche che stringono i crani.
Per i napoletani, queste radici-ossa sono considerate una connessione tra il mondo dei vivi e quello dei morti, una prova che la vita e la morte non sono mai veramente separate.

